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Nel 1258 il mondo musulmano è colpito da una catastrofe inimmaginabile: dopo aver conquistato la Persia e le altre regioni orientali, i Mongoli "idolatri" espugnano Baghdad e uccidono l'ultimo Califfo. In Persia, poi, la lentissima metabolizzazione del disastro è compromessa da un altro flagello: le devastanti incursioni dell'uzbeko Tamerlano. Insicurezza e timore generano tirannide, opportunismo e fughe nei reami consolatori dell'ultramondano. A questo mondo volgare, credulone e feroce 'Obeyd Zâkâni, poeta alla corte di Shirâz neI XIV secolo, fa mostra di adeguarsi adottando un linguaggio salace e spesso sconcio. Questo sforzo "mimetico" però, non riesce a celare lo sguardo beffardo che a quel mondo rivolge chi, in verità, fieramente lo disprezza.